La PET nel cancro mammario - valutazione della risposta al trattamento
Chemioterapia
1) SUV di base. La captazione dell’FDG è inversamente correlata alla prognosi e una elevata captazione è segno di aggressività del tumore. Di qui però non si deve concludere che un SUV elevato prelude a scarsa risposta a una chemioterapia. Al contrario proprio l’attività metabolica e l’elevato indice di proliferazione possono rendere le cellule più responsive ai chemioterapici.
Abbiamo prove che un SUV significativamente basso suggerisce resistenza alla chemioterapia. In uno studio di Schwartz-Dose et al. (1) nessuno di 30 tumori con SUV sotto a 3 ha risposto al trattamento chemioterapico.
2) Calo del SUV in neoadiuvante. I casi in cui si ricorre a NAC (chemioterapia neoadiuvante) o perchè il tumore è inoperabile (esteso, infiammatorio) o perchè si ritiene conveniente cercare di ridurne prima le dimensioni rappresentano contesti ideali per sperimentare l’uso della PET nella precoce valutazione della risposta. Il controllo PET viene di solito effettuato dopo uno o due cicli di terapia. Non c’è accordo a riguardo, anche se aspettare i due cicli sembra un ragionevole compromesso tra l’esigenza di avere indicazioni precoci e quella di dare il tempo alla terapia di far sentire i suoi effetti (2).
Negli studi varia la soglia alla quale il calo del SUV è considerato indicativo di risposta. Le differenze sono verosimilmente legate al fatto che varia il numero di cicli dopo i quali viene effettuata la PET di controllo e variano i criteri in base ai quali si valutano le risposte. In ogni caso la soglia oscilla tra il 40% e il 60% di calo del SUV.
Un limite degli studi condotti fino ad ora è che non suddividono per sottopopolazioni. In effetti nel cancro mammario rientra una popolazione eterogenea di neoplasie, diverse biologicamente, nella risposta alle terapie e nel comportamento alla PET (3; 4).
Nella pratica clinica valutare la risposta con la PET può risultare utile nella misura in cui consente di interrompere presto una neoadiuvante inefficace.
3) Calo del SUV nel trattamento chemioterapico del metastatico. Rispetto alla tradizionale valutazione delle risposte con TC o altri esami morfologici l’uso della PET presenta alcuni vantaggi.
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Si può fare una valutazione precoce. I cambiamenti del livello di captazione intervengono prima di quelli delle dimensioni delle lesioni, già dopo i primi cicli.
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Si può valutare meglio la risposta alle targeted therapies. Farmaci come il trastuzumab, lapatinib, l’avastin agiscono su specifici pathways biologici e, rispetto alla chemioterapia, tardano a modificare le dimensioni delle lesioni, mentre danno presto cambiamenti metabolici. Perciò per valutare le risposte a queste terapie, anche usate in associazione, sono preferibili esami funzionali come la PET (5; 6).
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Si può valutare meglio la risposta in sedi particolari. Nelle sedi ossee la riduzione di dimensioni è difficile da valutare e la PET fornisce indicazioni migliori (7). Da tener presente che la risposta in altre sedi documentata con imaging morfologica non garantisce che ci sia risposta ossea, in quanto capita abbastanza frequentemente che ci sia una risposta eterogenea, con esiti diversi in sedi osseee ed extraossee (8). In sedi quali la pleura o l’apparato linfatico gli esami morfologici sono inadeguati e possono anche fornire informazioni ingannevoli.
Limiti della valutazione tramite PET sono il fatto che gli studi a riguardo sono pochi e su numeri non elevati e che la soglia di riferimento non è ben precisata. L’EORTC (European Organization for Research and Treatment of Cancer) considera indicativa di risposta una riduzione del SUV superiore al 25% e indicativo di progressione un aumento del SUV del 20% e/o la comparsa di nuove captazioni. Queste soglie vanno però considerate con prudenza ed è bene integrare informazioni funzionali e morfologiche, cosa peraltro agevole eseguendo PET-CT.
Terapia ormonale
La presenza di ER (recettori degli estrogeni) all’esame istochimico, nonostante sia il criterio comunemente adoperato nella decisione terapeutica, non assicura una risposta. Infatti in circa il 30-40% dei casi i recettori sono presenti, ma non funzionanti. Inoltre i recettori routinariamente determinati sono gli alfa. Esistono però anche 5 tipi di recettori beta e oggi sappiamo che in assenza di recettori alfa i beta1 funzionano in loro vece (9). Perciò la terapia ormonale può funzionare nei tumori ERalfa–/ ERbeta1+, in quanto antagonizza l’azione protumorale degli estrogeni attraverso i recettori beta1, analogamente a come fa negli ERalfa+ agendo sui recettori alfa. Dapprima uno studio svedese e poi uno giapponese hanno dimostrato che i tumori ERalfa–/ ERbeta1+ rispondono alla terapia ormonale. Più recentemente è arrivato alle stesso conclusioni un doppio cieco condotto su 672 pazienti (10). Ci sono poi casi di metastatici in cui è difficile reperire materiale bioptico.
Queste considerazioni aiutano a capire l’utilità di esami funzionali che permettono di stabilire se lesioni di cancro mammario sono sensibili agli estrogeni e responsive alle terapie ormonali.
Nel caso di uso del tamoxifene è stato sperimentata una tecnica che evidenzia il metabolic flare attraverso la PET con FDG (11). Si esegue una PET di base e poi una PET di controllo dopo 7-10 giorni di terapia con tamoxifene. Un innalzamento del SUV del 20% o più suggerisce buona risposta al tamoxifene. La cosa si spiega se si tiene presente che il tamoxifene in un primo tempo ha un effetto estrogenico, che è all’origine del flare (a volte documentabile anche clinicamente), e solo successivamente esercita azione antiestrogenica.
La tecnica più usata è la PET con sfida da estradiolo (PET-based estradiol challenge), utilizzabile per prevedere la risposta a qualsiasi terapia ormonale antiestrogenica (tamoxifene, AIs, fulvestrant). Messa a punto da un gruppo di ricercatori di St. Louis (12). è ora approvata per uso clinico negli Stati Uniti.
Dopo aver eseguito una PET di base la paziente assume 30 mg di estradiolo nelle 24 ore prima della PET di controllo, ripartite in tre somministrazioni, l’ultima a 1-3 ore dall’esame. Un innalzamento del SUV, specie se del 20% o più, indica che i recettori sono funzionanti e predice risposta alle terapie ormonali.
Sperimentale, non approvata per uso clinico, è la FES-PET, che adopera come tracciante il fluoroestradiolo. Fornisce una indicazione funzionale meno convincente, in quanto prova soltanto che gli estrogeni si legano ai recettori. Può risultare utile in caso di metastasi non raggiungibili per biopsia o di tumori di dubbia valutazione istochimica o ERalfa–/ERbeta1+ (13). È comunque sostituibile dalla sfida da estradiolo con FDG-PET, che fornisce più informazioni funzionali.
Our study confirmed that the change in 18F-FDG tumor uptake after 2 cycles of neoadjuvant chemotherapy in TNBC patients allow early detection of pCR and early prediction of outcome [.. . ] The optimal SUVmax cutoff for early prediction of pCR and patient survival therefore varies with the type of chemotherapy.
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In 44-y-old patient with TNBC of left breast, transaxial PET (A) and PET/CT (B) images of primary tumor at baseline (SUVmax, 27.3) and after 2 cycles of SIM (C and D; SUVmax, 1.4). DSUVmax is −95%. No residual tumor was detected at surgery after 4 additional cycles of chemotherapy. Patient had no local or distant recurrence more than 1 y after surgery.
Un recente articolo di Grhoeux et al. sulla valutazione precoce della
risposta alla neoadiuvante
L'articolo di Dehdashti et al. sulla
PET-based estradiol challenge
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Dehdashti F. et al. PET-based estradiol challenge as a predictive biomarker of response to endocrine therapy in women with estrogen-receptor-positive breast cancer. Breast Cancer Research and Treatment. 113 (3): 509-517 (2009)
da D. Groheux et al. 18F-FDG PET/CT for the Early Evaluation of Response to Neoadjuvant Treatment in Triple-Negative Breast Cancer: Influence of the Chemotherapy Regimen. The Journal of Nuclear Medicine. 57:536–543 (2016)